Allah, san Gennaro e i tre kamikaze
La trama è semplice (si fa per dire): tre giovani musulmani, non proprio fulmini di guerra, vengono reclutati per compiere attentati in Italia. Mesi durissimi di addestramento che prevedono il sacrificio estremo dei tre. Si dovranno fare esplodere seminando morte e terrore, in cambio riceveranno la ricompensa destinata a tutti gli eroi kamikaze: ventisette vergini nel Paradiso di Allah, oltre agli altri benefici previsti dal contratto: sauna con sali profumati, leccornie varie, videogiochi, smartphone e tanto divertimento. Non saranno un po’ troppe le vergini? Forse nel pacchetto offerta andrebbe inserita una confezione di Viagra. E se sono racchie? Con le vene varicose e i denti cariati? E se sono ultraottantenni? La bidonata è sempre dietro l’angolo. Cari jihadisti pensateci bene prima di sacrificare la vostra unica esistenza terrena. E poi, nel gruppetto degli attentatori c’è una femmina, cosa se ne fa, questa, delle vergini?
Individuare l’obbiettivo del massacro non è facile, l’Italia ha tante belle città: Milano, Roma, Torino. Alla fine la scelta ricade su Napoli (e ti pareva). Napoli? Perché proprio Napoli? Perché Pino Imperatore è di Napoli e ama la sua città alla follia. Perché Napoli ha tante bellezze architettoniche da far conoscere, così tante che forse un libro non basta a contenerle. Perché a Napoli sono maestri nel rifilare patacche, mattoni al posto dell’esplosivo da vendere ai terroristi, così da far fallire il loro piano. E gli scioperi selvaggi, il calore invadente della gente, il tizio balordo che ti appioppa due sberle senza pensarci troppo. Passa davvero la voglia di fare il terrorista, a Napoli. Meglio così! Napoli è calda, una città accogliente, con i suoi difetti e le sue risorse, se ti capita di essere in difficoltà una mano te la tende; se ti ritrovi stirato sulla spiaggia, vittima di un’insolazione, un buon pescatore che ti aiuta e ti cura si trova. E allora meglio amarla questa città, godersi il suo sole e simpatizzare con i cittadini. Il messaggio dell’autore è limpido: non guerre ma fratellanza tra i popoli.
Diciamolo pure senza timor di errare: Pino Imperatore è un genio. Sì, un genio. Ha scritto un romanzo dove è riuscito a trattare un tema attuale e delicatissimo quale il terrorismo islamico, un argomento “esplosivo”, con levità, con candore poetico e allo stesso tempo ci ha fatto conoscere le meraviglie di Napoli. Che si vuole di più da un romanzo? L’ennesimo commissario che indaga? Cerca malviventi? Turpi assassini? Ladri di polli? No. Qui siamo dinnanzi a un romanzo che esprime letteratura pura. ironica, graffiante, centellinata con l’alambicco come la grappa fatta in casa. Letteratura d’Autore. Grazie a Dio esistono ancora i pronipoti di Achille Campanile, ognuno con il proprio stile ma con gli stessi efficaci risultati. Si possono uccidere i bambini napoletani? No, non si possono uccidere, sono troppo simpatici. Non si dovrebbe uccidere alcun bambino e nemmeno i grandi. La vita è un bene prezioso, nessuno ha il diritto di reciderla. Il giovane terrorista islamico che si ritrova ad essere devoto di San Gennaro e colleziona immaginette di buoni cristiani, è una trovata stupenda, stilisticamente di alta classe. Un coup de thèàtre come direbbero i francesi. Allah è grande ma san Gennaro non scherza mica. San Gennaro fa miracoli a getto continuo, è alla portata di tutti e, soprattutto, non pretende martiri e spargimenti di sangue. La bellissima kamikaze Amira che si innamora di un ragazzo napoletano; l’imbranato Salim che si fa trombate straordinarie con la dirimpettaia di “larghe vedute”, sono un invito da parte dell’autore a fare l’amore e non la guerra. Pino scomoda tutti i grandi musicisti della storia per descrivere i ritmi e l’intensità degli amplessi tra il musulmano e la prosperosa napoletana. Un libro messaggero di pace, dunque. Sarà che io ho un debole per la letteratura umoristica, brillante, dissacrante, irriverente, fuori dagli schemi convenzionali ma un romanzo così bello da tempo non mi capitava di leggerlo. Per la gioia eseguo tre capriole e due salti mortali.
L’INTERVISTA
Caro Pino, ti confesso che ho trovato il tuo romanzo geniale, una storia diversa dai soliti schemi; mi ha fatto ridere ma anche riflettere. Come ti è venuto in mente di trattare un argomento così delicato, quale quello del terrorismo islamico, ambientandolo a Napoli?
«Alcuni osservatori ritengono che Napoli possa ritenersi al riparo, per varie ragioni, da possibili azioni terroristiche. Purtroppo, la triste cronaca degli ultimi anni ci ha insegnato che questa valutazione è errata. Fino alla sera del 13 novembre 2015, quando Parigi fu teatro di vari attacchi che provocarono 130 morti e centinaia di feriti, ci si poteva aspettare che il terrorismo di matrice jihadista potesse ipoteticamente colpire soltanto luoghi istituzionali, rappresentanti del potere e tutori della legge. Da quella sera, invece, i fondamentalisti armati hanno messo nel mirino l’intera popolazione occidentale. Ci hanno lanciato un messaggio chiaro e atroce: possiamo colpire tutti voi, a prescindere dal vostro ruolo e dalle vostre responsabilità, in qualsiasi momento e in qualsiasi luogo. E l’hanno tragicamente dimostrato in tutti gli attacchi successivi. Napoli, dunque, insieme all’intero Occidente, non può sentirsi al sicuro. Ma Napoli, e con essa tutto il Sud, possiede molti anticorpi in grado di allontanare da sé questa minaccia immanente».
Proprio Napoli viene spesso, troppo spesso, citata quale esempio negativo (un po’ come tutto il Meridione) per i disservizi, la malapolitica, la camorra. Invece nel tuo romanzo ne hai evidenziato la bellezza. È un omaggio alla tua città? Una ricerca di giustizia?
«È questo e tanto altro. Come ho scritto nelle ultime pagine del romanzo, nessuno ha il diritto di offendere, disonorare e minacciare Napoli. La mia è una città straordinaria, anarchica, inafferrabile, unica al mondo, e io sono orgoglioso di viverci. Come tante metropoli del pianeta, ha numerosi problemi, e nei miei libri non li ho mai nascosti; parlarne aiuta a comprenderli e a risolverli. Ma guai a guardare solo il bicchiere mezzo vuoto. Napoli ha positività e meraviglie enormi, ed è su di esse che si deve concentrare l’attenzione di tutti».
L’umorismo è arte? Consolazione? Sopravvivenza?
«È osservare la realtà con occhi diversi, senza fermarsi alla superficie, alle apparenze. È risata e ponderazione. È desiderio di ottenere il meglio dalla vita e di regalare benessere al prossimo».
Parlaci del laboratorio di scrittura comica e umoristica “Achille Campanile”.
«L’ho fondato a Napoli nel 2001, con l’intento di valorizzare l’umorismo e la comicità di qualità. È un luogo di sperimentazione e di ricerca che ha prodotto, negli anni, pubblicazioni, spettacoli, workshop, reading, eventi, permettendo a tanti talenti di esprimersi e di diffondere sorrisi».
San Gennaro e Allah, in una ipotetica quanto improbabile sfida. Chi vince?
«Vince Napoli. Vince la Pace. Gli dei e i santi non hanno mai ordinato ai loro seguaci di uccidere. Le “guerre di religione” e l’odio apparentemente causato da motivazioni teologiche sono serviti a mascherare, in ogni epoca storica, interessi materiali e volontà di dominio. La razza umana dovrebbe smetterla, una volta per tutte, di erigere muri e pensare, piuttosto, a costruire spazi di dialogo fra i popoli. Prima che sia troppo tardi».